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Quelli del Five million club possono diventare di più?

Ho scoperto che non sono sola. Circa altri 4.999.999 italiani di ogni colore politico, légge, si informa, studia attraverso fonti mediatiche diverse da quelle massivamente seguite dal resto della popolazione italica. E’ possibile contagiarne altri? Dino Amenduni pensa di sì.

 

Ieri sera dopo aver abbuffato le nostre pance con una lauta polentata, io ed alcuni amici ci siamo ritrovati a discorrere per ore (erano le 4:20 quando sono andata via!) di tutti gli aspetti che esasperano le nostre vite. Avremmo pure alimentato qualche malumore, ma  di sicuro sono venuti fuori aneddoti  interessanti su contratti a termine, tasse, cervelli in fuga, aziende in bancarotta, straordinari, marxismo al tempo di Marx, marxismo dopo Marx e blogger. Sì, ci siamo arrivati quando ci siamo resi conto di essere rimasti in pochi a fruire del piacere della crescita personale ‘dia-logos’ e quando abbiamo scoperto che c’è pure chi questa considerazione l’ha teorizzata. Dalla rubrica Italians del Corriere on-line, leggo una risposta di Beppe Severgnini ad un suo lettore:
“La gente – non solo in Italia – non vuol essere disturbata: il potere l’ha capito, e offre diversivi e rassicurazioni. Ci prenderanno per stanchezza. Anzi, ci hanno già presi. Certo restano quei rompiscatole del Five Million Club, che insistono per capire e per informarsi. Se hanno idee sgradite basta ignorarli, oppure definirli snob, lontani dalla gente.”
Il Five Million Club di Severgnini, seppure nutrito e culturalmente differenziato, non basta per pesare “elettoralmente”. Si tratta di quella porzione di popolo che non si riconosce nell’attuale classe politica, che conserva intatto il proprio spitito critico, che cambia canale quando non gradisce il telegiornale e che acquista i quotidiani. Eppure non lo fa in numero sufficiente ad incidere sull’andamento della politica. Almeno secondo Severgnini.
C’è chi pensa invece che esista un nuovo gruppo sociale, i cosidetti millennial

Ai microfoni di ToscanaLab, #generazioni 2.0 @Arezzo, Dino Amenduni, da responsabile dei social media per Nichi Vendola e coordinatore di un team under30, ci ha invitato a vedere diversamente le cose. E’ possibile infatti identificare come millennial o generazione Y, la fascia della popolazione italiana nata dopo il 1976 che considera il Web come potenzialmente determinante nella fruizione di informazioni di qualsiasi natura. Una fonte primaria anche per la politica, dunque, grazie alla quale comunicare, socializzare, formarsi un’opinione e incidere con il proprio voto.

Bene, se ognuno di loro, circa 12 milioni di persone (dati Istat), convincesse un non-millennial delle proprie idee?
Riadattando la teoria dei millennial alla situazione italiana, nel 2020 avrebbero un potenziale elettorale di ben 34 milioni di voti. Tutto questo grazie all’informazione, al passa parola, alla condivisione di conoscenze.
A ragionarci, forse lo scenario non è molto lontano dalla realtà, forse se iniziassimo davvero a considerare i nuovi media come fonte di informazione politica supplementare e pertanto decisiva, le cose potrebbero cambiare. Ora non lo sappiamo, ne intravediamo solo un enorme potenziale.
Ma abbiamo il dovere di crederci (mi ci metto anche io), di spingere nella direzione del cambiamento, di fare politica e, per dirla alla Amenduni:
 
Avere, coraggio, idee, faccia tosta. 
Non avere paura. 
Diventare unici e decisivi.

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